Qui di seguito una importante relazione di un magistrato riguardante la illegittimità dell'obbligo vaccinale, introdotta dal Dott. Gava.
Credo sia importante non entrare nel circolo vizioso delle paure in un momento storico come quello attuale, in cui le persone iniziano a scegliere e a porsi domande e mantenere invece sempre attiva la possibilità di scegliere e la RIVENDICAZIONE DI UN DIRITTO.
 Il 18 giugno 2016 sono stato relatore ad un Convegno sulle vaccinazioni 
pediatriche che si è tenuto a Savona. Prima di me ha parlato il Dott. 
Beniamino Deidda, Direttore della Scuola Superiore di Magistratura, ex 
Procuratore Generale. 
Come si leggerà nella sua relazione sottostante, il Magistrato ha 
sottolineato essenzialmente questi punti: 
- Le vaccinazioni pediatriche non possono essere imposte obbligatoriamente, 
a meno che non ci sia una condizione sanitaria di emergenza, come una grave 
epidemia. 
- L’articolo 32 della Costituzione dice che “nessuno può essere obbligato a 
un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”, ma 
la legge è vincolata in questo senso perché in nessun caso possono essere 
violati “i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. 
- Secondo l’interpretazione della Corte Costituzionale (sentenza 308/1990), 
non è permesso il sacrificio della salute individuale a vantaggio di quella 
collettiva. Ciò significa che è sempre fatto salvo il diritto individuale 
alla salute, anche di fronte al generico interesse collettivo. 
- La Convenzione di Oviedo ha stabilito il fondamentale principio 
dell’autodeterminazione in materia di salute e dato che la vaccinazione è 
un trattamento preventivo proposto a persone sane e non è uno stato di 
necessità, è necessario avere il consenso del paziente o del suo 
rappresentante legale. Il solo rappresentante legale di un bambino è il 
genitore e quindi decide il genitore se accettare o meno la vaccinazione di 
suo figlio. 
Quindi, l’obbligo giuridico della vaccinazione e la conseguente repressione 
non reggono di fronte ad una interpretazione delle norme costituzionali. 
Infine, dato che l’articolo 33 della Costituzione dice che “l’arte e la 
scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”, il magistrato afferma 
che “soffocare il dissenso di un medico su questa o quella terapia, quando 
esso sia fondato su ragionevoli dubbi o sul dibattito esistente in un certo 
momento storico, è un atto scriteriato; né può essere limitato il dissenso 
o la libertà di ricerca solo perché le autorità sanitarie hanno scelto una 
via piuttosto che un'altra”. 
Ecco il testo della relazione. Buona lettura! 
Vaccinazioni: tra Scienza e Diritto 
(di Beniamino Deidda - Direttore della Scuola Superiore di Magistratura, ex 
Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Firenze) 
Mi pare necessario premettere che il mio approccio alla questione che è 
oggetto di questo dibattito non è ideologico e che affronterò i problemi 
esclusivamente dal punto di vista giuridico, cercando di coglierne le 
implicazioni. Per il giurista il dato di partenza è la norma e la 
disciplina positiva che da essa discende. Certo, poi le norme possono 
essere discusse e possono essere cambiate. Ma darsi da fare per modificarle 
è compito dei cittadini, dei partiti, delle associazioni, non del giurista. 
Per il giurista la norma è il punto di riferimento e con essa bisogna fare 
i conti. 
Nel nostro caso il panorama normativo è semplice. Con leggi che si sono 
succedute nell'arco di molti anni sono state dichiarate obbligatorie 
quattro vaccinazioni. Nel tempo altre se ne sono aggiunte, ma il 
legislatore non le ha definite obbligatorie, ma solo 'raccomandate'. Devo 
dire che mi sfugge la diversa natura delle due categorie di vaccinazioni, 
ma forse questo dipende dalla mia ignoranza in materia. Mi pare di capire 
che per un profano ' raccomandare' una vaccinazione debba avere il 
significato di prevenire le conseguenze dannose di alcune malattie. Sotto 
questo profilo l'obbligatorietà limitata ad alcuni vaccini e non ad altri 
non discende da una graduazione di importanza; sembra più il portato di un 
atteggiamento strategico del legislatore che è andato mutando nel corso 
degli anni. 
Il mio intervento si propone di esaminare le caratteristiche della 
obbligatorietà delle vaccinazioni e delle sanzioni previste per legge, la 
sostenibilità dell'obbligo alla luce delle norme costituzionali e le 
possibili interpretazioni alla luce della giurisprudenza. 
Rispetto ad un recente passato, sembra indubbia la tendenza, che si 
registra in diversi paesi occidentali, ad una sensibile diminuzione della 
copertura vaccinale per le vaccinazioni più comuni. Ciò ha indotto le 
autorità pubbliche a mettere in campo alcune discutibili strategie per 
contrastare questo fenomeno. 
Voglio ricordare che con la diffusione dei primi vaccini, il legislatore 
negli anni '60 previde la obbligatorietà delle vaccinazioni per difterite, 
tetano e poliomielite con specifiche sanzioni penali a carico dei genitori 
che omettessero di vaccinare i propri figli e con l'obbligo per le scuole 
di verificare l'avvenuta vaccinazione come presupposto della frequenza 
scolastica. Con la legge di depenalizzazione 689/81, il reato di omessa 
vaccinazione fu trasformato in illecito amministrativo, tanto che l'ultimo 
obbligo di vaccinazione contro l'epatite B, introdotto con legge n. 
165/1991, fu sanzionato solo in via amministrativa. 
Dopo di allora il Ministero della salute ed il legislatore, anche alla luce 
della riforma sanitaria introdotta con la legge n. 833/1978, hanno cambiato 
strategia, puntando sull'informazione e sulla persuasione, piuttosto che 
sulla repressione. E' questa la ragione che spiega perchè i vaccini 
introdotti successivamente (contro pertosse, meningite, varicella, ecc.) 
sono solo raccomandati e non obbligatori. Questo nuovo atteggiamento ha 
indotto il legislatore a sopprimere con il DPR n. 355/1999 il divieto di 
frequenza scolastica per i non vaccinati, che francamente era poco in linea 
con il principio costituzionale dell'istruzione obbligatoria per tutti i 
minori. 
Ho brevemente ricapitolato questi passaggi, per sottolineare la 
preoccupazione che destano alcune recenti prese di posizione di molte 
autorità pubbliche centrali e regionali dirette a contrastare il calo delle 
vaccinazioni registrato nel nostro paese. Si parla di rinvigorire 
l'applicazione delle sanzioni (che il alcune regioni sono da tempo 
disapplicate), di reintrodurre il divieto di frequenza scolastica per i non 
vaccinati e addirittura di prevedere sanzioni disciplinari, fino alla 
radiazione, per i medici che facciano propaganda antivaccinista. E, infine, 
si vorrebbe introdurre la coercizione della vaccinazione ad opera del 
Sindaco che si servirebbe dei poteri attribuitigli dall'art. 117 del D.Lgs. 
112/1998. 
Mi limito a dire che quei poteri di intervento presuppongono che sia già in 
atto un'epidemia e che dunque sia urgente intervenire, il che è 
difficilmente conciliabile con le ordinarie campagne preventive di 
vaccinazione. Il Sindaco potrebbe certo emanare un'ordinanza ripetitiva 
dell'obbligo previsto dalla legge, ma l'eventuale violazione non sarebbe 
sanzionabile con l'art. 650 del codice penale, come ha già riconosciuto la 
I Sez. della Cassazione con sentenza n. 2671 del 12 dicembre 1990. 
Queste difficoltà di concreta attuazione degli obblighi hanno indotto 
taluno a ricorrere al Tribunale dei minori sul presupposto che i genitori 
che non rispettano l'obbligo di vaccinare i figli sarebbero inidonei ad 
esercitare la responsabilità genitoriale. Devo dire che finora i Tribunali 
dei minori non hanno generalmente effettuato interventi determinati dal 
mero rifiuto delle vaccinazioni, a meno che non emergessero elementi di 
trascuratezza nella cura e nell'educazione dei minori. 
Questa posizione assunta dalla magistratura minorile (le cui ragioni sono 
ben illustrate nel protocollo intervenuto tra la Regione Lombardia e il 
Tribunale dei Minori di Milano), ci introduce alla questione di fondo: se, 
cioè, sia coercibile l'obbligo di eseguire le vaccinazioni alla luce 
dell'ordinamento giuridico vigente. 
La risposta negativa è imposta da una corretta interpretazione dell'art. 32 
della Costituzione, secondo cui “nessuno può essere obbligato a un 
determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. Dunque 
l'obbligo di sottoporsi ad un determinato trattamento è possibile solo se 
previsto da una legge ordinaria. La legge peraltro è vincolata ad un 
ulteriore limite: nel senso che in nessun caso possono essere violati “i 
limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Per pacifica 
interpretazione l'art. 32 C. tutela una delle massime espressioni della 
libertà, quella di non essere sottoposti a cure o terapie che non siano 
liberamente scelte o accettate. E' generalmente condivisa l'opinione che 
solo uno stato di necessità per la salute pubblica consenta al legislatore 
l'imposizione di un trattamento sanitario. Secondo questa impostazione, 
dunque, l'articolo 32 C. consente di contemperare il diritto individuale 
alla salute e alle cure liberamente scelte con l'interesse alla salute 
dell'intera collettività. Tale contemperamento però, secondo 
l'interpretazione della Corte Costituzionale contenuta nella sentenza 
308/1990, permette anche l'imposizione di trattamenti sanitari obbligatori, 
ma non postula il sacrificio della salute individuale a quella collettiva. 
Ciò significa che è sempre fatto salvo il diritto individuale alla salute, 
anche di fronte al generico interesse collettivo: nel nostro caso perciò il 
provato pericolo per la salute individuale consentirebbe l'esonero 
dall'obbligo di vaccinazione. 
A proposito di principi contenuti nel nostro ordinamento, c'è da aggiungere 
che l'eventuale introduzione della vaccinazione coatta per legge nel nostro 
ordinamento sarebbe preclusa dalla Convenzione di Oviedo, recepita in 
Italia con legge n.145/2001, che, com'è noto, ha stabilito il fondamentale 
principio dell'autodeterminazione in materia di salute. Il motivo del 
contrasto con la Convenzione è che, essendo la vaccinazione un trattamento 
preventivo proposto a persone sane, in questo ambito non si può configurare 
lo stato di necessità, cioè l'unica situazione per la quale non è richiesto 
il consenso del paziente o del suo rappresentante legale. 
A questo proposito è stato posto un problema di una qualche importanza. Si 
è detto da parte di qualcuno: l'autodeterminazione va bene, ma 
l'autodeterminazione riguarda sé stessi, non i propri figli minori, dunque 
la tutela della salute dei minori non può essere lasciata all'apprezzamento 
dei genitori, ma va salvaguardata con l'intervento del giudice o 
dell'autorità sanitaria. Si tratterebbe perciò di integrare la volontà del 
minore, che non ha capacità giuridica, con l'intervento di una autorità 
pubblica che si sostituisce ai genitori. Questa obiezione ha tratto qualche 
vantaggio da alcune pronunzie della Corte di Cassazione che, decidendo in 
tema di vaccinazioni obbligatorie, ha rilevato che la vaccinazione non può 
essere rifiutata per una generica convinzione o per ignoranza del genitore: 
devono essere di volta in volta indicate specifiche ragioni che rendono la 
vaccinazione pericolosa per la salute del minore (Cass. Sez. I, 18.7.03 n. 
11226, Cass. 8.7.05 n. 14384 e Cass. Sez. II, 26.6.06 n.1474 ). 
Tuttavia l'interpretazione volta a sostituire la volontà del genitore con 
quella di un organo pubblico ha scarse possibilità di prevalere, dal 
momento che esiste nel nostro ordinamento l'incontestabile principio che la 
volontà dell'incapace è sostituita da quella del suo rappresentante legale, 
che è l'unico autorizzato a darle voce. Fino a che dunque non si pone nel 
nulla quella rappresentanza, saranno i genitori ad esprimere la volontà del 
minore. L'autodeterminazione si realizza appunto con riguardo alla salute 
del minore attraverso la scelta dei suoi genitori. 
Sulla scorta di questo equivoco si è fatto talvolta ricorso al giudice dei 
minori invocando l'art. 333 del cod. civ., che consente l'intervento del 
giudice quando i genitori con il loro comportamento pregiudicano i beni 
fondamentali del minore. Non sono mancate le pronunzie di alcuni giudici 
che hanno ravvisato nel rifiuto delle vaccinazioni una condotta 
pregiudizievole per il minore, ma l'atteggiamento prevalente nella 
giurisprudenza è quello di rimettere all'apprezzamento dei genitori 
l'opportunità di vaccinare o meno i figli minori, secondo le proprie 
convinzioni o conoscenze. 
Se questa conclusione è pacifica per quanto riguarda le vaccinazioni 
raccomandate, la logica giuridica vorrebbe che la medesima disciplina 
venisse applicata per quelle obbligatorie. Abbiamo già visto che esse non 
si differenziano nel merito e che l'obbligatorietà o la raccomandabilità 
derivano dal diverso momento storico in cui vennero prescritte. Ma per 
tutte le vaccinazioni valgono, senza differenze, i principi costituzionali 
della libertà di scelta e di autodeterminazione. La conclusione dal punto 
di vista giuridico non può che essere questa: l'obbligo giuridico della 
vaccinazione e la conseguente repressione non reggono di fronte ad una 
interpretazione delle norme costituzionalmente orientata, come dimostrano 
del resto le prassi vigenti nella gran parte delle Regioni italiane dove 
l'obbligo e le relative sanzioni sono generalmente disapplicati. 
Si impone invece una scelta di diverso tipo, che non può che essere quella 
della informazione e della responsabilità, evitando che si perseguano 
interessi diversi da quelli della protezione della salute di tutti. 
L'ultima questione alla quale vorrei fare cenno è relativa agli obblighi e 
alle responsabilità del medico in materia di vaccinazioni. Periodicamente 
sui mezzi di informazione si apprende che viene stigmatizzata l'azione di 
alcuni medici impegnati a mettere in evidenza le criticità o i possibili 
rischi di una vaccinazione di massa indiscriminata, praticata senza 
indagini mirate e senza la necessaria prudenza. Si rimprovera loro di 
'remare contro' le indicazioni che provengono dalle autorità sanitarie e 
spesso si minacciano sanzioni disciplinari per coloro che coltivano il 
dubbio sulla bontà, sempre e comunque, di tutte le vaccinazioni. 
Su questi punti è bene ricordare alcuni principii che non possono essere 
disattesi. 
E' vero innanzitutto che i medici nell'esercizio della professione devono 
attenersi alle conoscenze scientifiche e devono seguire le linee guida e le 
buone pratiche accreditate e condivise dalla comunità scientifica. Non 
sarebbe accettabile (e non gioverebbe alla credibilità della medicina) che 
ogni singolo si lasciasse guidare solo dalle proprie idee più o meno 
avanzate o bislacche. In questo senso il decreto Balduzzi, con il suo 
riferimento alle buone pratiche pacificamente accreditate dalla comunità 
scientifica, costituisce una garanzia per gli stessi medici e li pone al 
riparo dalle conclusioni un po' balzane di qualche giudice o consulente del 
giudice. 
Ma è anche chiaro che l'elaborazione delle linee guida e delle migliori 
pratiche vive di confronti, di test, di conferme e di prove che sono frutto 
della libera ricerca in medicina. Tutto questo ha bisogno della 
partecipazione di tutti, delle discipline specialistiche come della 
medicina generale, senza preclusioni e senza anatemi. Il terreno più adatto 
per favorire la buona elaborazione di percorsi preventivi, diagnostici o 
terapeutici, ecc. è costituito dalla libertà garantita nell'articolo 33 
della Costituzione: “l'arte e la scienza sono libere e libero ne è 
l'insegnamento”. 
Ne consegue che soffocare il dissenso su questa o quella terapia, quando 
esso sia fondato su ragionevoli dubbi o sul dibattito esistente in un certo 
momento storico è un atto scriteriato. Nè può essere limitato il dissenso o 
la libertà di ricerca solo perchè le autorità sanitarie hanno scelto una 
via piuttosto che un altra 
Ma - si sente obiettare - se uno lavora per il SSN non può tenere 
atteggiamenti che contraddicono le scelte del servizio cui appartiene. Non 
discuto gli aspetti contrattuali dei rapporti che legano i medici al SSN, 
ma sostengo che anche questi medici godono delle garanzie costituzionali 
nell'esercizio della loro professione. Minacciare sanzioni a coloro che, 
per motivate ragioni scientifiche, non si allineano alle decisioni o alle 
conclusioni delle autorità sanitarie non è rispettoso della libertà di 
ciascuno. E' chiaro che proprio il confronto libero tra le varie posizioni 
determinerà infine le scelte più appropriate, ma non è certo soffocando il 
dissenso che si raggiungerà la migliore protezione della salute individuale 
e collettiva. 
Beniamino Deidda 
ex Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Firenze